Sebbene molti colleghi, per non dire la totalità della categoria dei giovani medici, non abbiano dimestichezza con la tematica previdenziale, e quando ne sentono parlare non mostrano particolare interesse, il S.I.G.M. ha ritenuto opportuno impegnarsi in una continua opera di sensibilizzazione dei giovani medici finalizzata a far comprendere l’importanza di imparare a costruirsi da subito il futuro pensionistico, a fronte dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nel sistema previdenziale italiano, a cominciare col correre ai ripari con delle forme di previdenza complementare sin dal periodo della specializzazione.
Nel particolare, mentre in passato e sino ad inizio anni ‘90 le generazioni di colleghi che ci hanno preceduto hanno potuto usufruire di laute pensioni, grazie al vecchio sistema retributivo (in breve: la pensione veniva calcolata ed erogata su calcoli proporzionali agli ultimi stipendi percepiti dall’operatore sanitario) e sulla base del dato di una preponderanza di lavoratori attivi contribuenti rispetto ai pensionati destinatari delle pensioni, ai giorni nostri tutto ciò non è più possibile. La transizione demografica occupazionale, che ha registrato una totale inversione del predetto dato, dovuta sia alla scarsa natalità che all’aumento della aspettativa di vita alla nascita nostra generazione, tale per cui la nostra è una tra le nazioni con età media più elevata, ha di fatto obbligato il Legislatore ad intervenire in maniera incisiva, modificando le dissennate politiche previdenziali (baby pensioni) assunte in passato: la nostra generazione è soggetta ad sistema pensionistico contributivo, entrato in vigore dal 1996 (in breve: si percepisce una pensione capitalizzata su quanto si è riuscito a “mettere da parte” negli lavorativi). In altre parole, mentre in passato un lavoratore attivo bastava a “coprire” la pensione di due colleghi in “quiescenza”, ai giorni nostri, invece, necessitano quasi due lavoratori e mezzo contribuenti, affinchè venga garantita la copertura della pensione ad un singolo pensionato. Da qui il ricorso al più svantaggioso sistema contributivo che, oltre ad avere dei limiti non indifferenti rispetto a quello contributivo ai fini del computo delle pensioni, essendo fatto sull’intero arco di tempo lavorativo (e non sugli ultimi cinque anni), risente dell’inflazione a cui è continuamente soggetta la valuta, non consentendo quindi di conservare una rendita previdenziale decorosa per il futuro.
La nostra analisi di contesto non può tralasciare l’evidenza degli effetti delle varie integrazioni normative, succedutesi negli anni, che hanno progressivamente innalzato l’età di pensionamento, sino a raggiungere la soglia attuale del versamento di giusti contributi per ben 36 anni lavorativi. Per di più, i tempi medi di attesa per l’accesso alla professione, per chi si avvia al percorso formativo della medicina, sono di per sé elevati, se comparati agli altri ambiti professionali, e le differenze appaiono più marcate se tali tempi sono messi a confronto con i tempi medi di accesso alla professione medica negli altri Paesi Comunitari e non.
Il risultato dell’analisi è impietoso: le attuali generazioni di giovani medici non potranno andare in pensione col massimo dei contributi pensionistici, tanto meno potranno contattare su una pensione degna di tale nome. Da qui l’esigenza di dotarsi degli strumenti necessari a districarsi ed orientarsi nel contesto della complessa materia previdenziale, cercando di adattarsi da subito al cambiamento concettuale introdotto con l’adozione delle forme complementari. Giunge al caso nostro, a tal proposito, una dotta citazione di un celebre postulato della teoria evoluzionistica propugnata da Charles Darwin, che sembra cogliere perfettamente la natura della questione: “Non sono le specie più forti a sopravvivere, né le più intelligenti, ma sono quelle che riescono a rispondere con maggior prontezza ai cambiamenti”.