– Sarà possibile unire (federazione o fusione) Università territorialmente vicine per razionalizzare la spesa. A tal proposito, nel marzo 2011 i Rettori di Padova, Verona e Venezia hanno dato il via alla prima fondazione sperimentale tra Atenei. In contemporanea, in Campania è stato creato un “Sistema Universitario Regionale” che coinvolge ben sette università. Questa è la sfida più ambiziosa che attende gli Atenei: le realtà che riusciranno a “fondersi” in maniera virtuosa e propositiva, integrandosi con i portatori di interesse del territorio, potranno continuare ad “esistere” e saranno poste nelle condizioni per accrescersi. Inoltre, tale fusione/federazione potrà interessare anche settori limitati di attività o strutture, piuttosto che avvenire tra Università ed Enti e/o Istituzioni operanti nei settori della ricerca e dell’alta formazione, aprendo quindi la strada a virtuosi modelli di integrazione innovativi, per restare in ambito delle scienze mediche, nella rete formativa delle Facoltà di Medicina e delle Scuole di Specializzazione di area sanitaria.
– Una piccola rivoluzione, annunciata ma non introdotta dalla Riforma, sarebbe dovuta consistere nella soppressione delle Facoltà a favore dei Dipartimenti. Purtroppo il Ministro non ha avuto la forza, o la volontà, di cancellare del tutto questi vetusti organismi, prevedendone la riesumazione in particolari e complesse circostanze che nei fatti rimandano allo “status quo”. Spostare il centro dell’equilibrio dalle Facoltà ai Dipartimenti avrebbe significato, di contro, innescare quel circolo virtuoso dato dalla sana competizione scientifica tra i gruppi di ricerca ed innalzare, alla lunga, la qualità dei nuovi docenti reclutati.
– In ambito di reclutamento, viene introdotta l’idoneità nazionale che gli aspiranti professori universitari devono conseguire prima di partecipare ai concorsi locali: non sono chiari al momento né chi stabilirà le soglie per conseguire detta idoneità, né secondo quali regole gli idonei potranno partecipare alle selezioni interne agli atenei. A questo si aggiunge che la Legge abolisce la figura dei ricercatori a tempo indeterminato, istituendo un lungo precariato al termine del quale solo una percentuale – ottimisticamente stimabile nel 20% dei ricercatori a tempo determinato – vincerà un concorso per professore, mentre agli altri non viene garantito nessun futuro nelle Università pubbliche.
– Viene ridotto della metà il numero dei Settori Scientifico Disciplinari, con conseguente riduzione del numero dei microsettori, che saranno accorpati con quelli affini. Dovranno, quindi, crearsi all’interno dei nuovi settori dei nuovi equilibri tra i “decani” e ciò potrebbe portare al prevalere di criteri più meritocratici nella selezione dei nuovi docenti che saranno reclutati nei prossimi anni.
– Viene imposta agli Atenei l’adozione di un Codice Etico che prescrive l’impossibilità di assumere nello stesso Dipartimento un parente prossimo fino al quarto grado. Questo ovviamente non potrà impedire lo “scambio di parenti” tra Dipartimenti affini o Università vicine, anche perché un altro articolo della legge favorisce la mobilità del personale, obbligando le Università ad assumere una percentuale di docenti tra quanti provengono da altri Atenei.
– Gli studenti saranno posti nelle condizioni di valutare i professori sulla base della loro presenza a lezione e del complessivo impegno profuso (ore di ricevimento, tutorato, etc). Questa valutazione sarà determinante per la ripartizione dei fondi agli Atenei da parte del MIUR, ma anche per i docenti: in caso di valutazione negativa, questi potranno non vedersi riconosciuti gli scatti stipendiali.
– Infine, elemento di particolare interesse per i giovani medici che si vogliano affacciare alla ricerca attraverso un ruolo universitario, in deroga alle precedenti incompatibilità, l’art. 19 della Riforma Gelmini, al comma 1, lettera c, introduce la possibilità di frequentare allo stesso tempo sia il corso di specializzazione di area sanitaria sia il corso di dottorato di ricerca; inoltre, in caso di frequenza congiunta, la durata del corso di dottorato viene ridotta ad un minimo di due anni. Anche tale determinazione necessita, però, di attuazione, e, salvo sorprese, non dovrebbe prevedere retroattività.