Non si può fare a meno di sottolineare il fatto che le giovani generazioni di medici (al pari delle altre professioni) non potranno godere alla fine del proprio percorso lavorativo di una pensione degna di tale nome: infatti, l’ingresso del sistema contributivo ed i coefficienti di conversione attuali non consentano in prospettiva di maturare neanche dopo 40 anni di servizio una pensione tale da poter garantire la “sopravvivenza”. In sintesi, attraverso la contribuzione previdenziale i giovani sostengono e garantiscono, senza un corrispettivo ritorno, le pensioni delle generazioni precedenti, dovendo guardare ad onerose forme di pensioni complementari o integrative. E, se ciò non bastasse, qualche sindacato pretenderebbe addirittura di far gravare ulteriormente sulle spalle dei giovani, oltre a quanto prima richiamato, anche il peso dei mancati versamenti della pubblica amministrazione nelle casse previdenziali del pubblico impiego; ci si riferisce al “buco” miliardario ereditato dall’INPS a seguito dell’accorpamento al predetto ente dell’ex INPDAP.
Ma, visto che i giovani non avranno un futuro previdenziale, qualche politico “illuminato” (ex sindacalista) ha pensato bene, nel lontano 2006, in occasione dell’adozione del contratto di formazione specialistica, di imporre l’iniquo inquadramento previdenziale degli specializzandi nella gestione separata INPS, che si è rivelata essere estremamente svantaggiosa, per non dire inutile, per i giovani, che peraltro già contribuiscono obbligatoriamente alla Quota A dell’Enpam.