“La formazione in medicina generale è specifica, non è una scuola di specializzazione. È diversa [dalla formazione specialistica] perché deve rispondere alle realtà territoriali [che sono] diverse dall’ospedale”.
Sono queste le parole che nelle scorse settimane, durante i lavori del Congresso della FIMMG, sono state pronunciate dalla Direttrice Generale delle Professioni sanitarie del Ministero Salute, dott.ssa Rossana Ugenti, destando stupore all’interno del Dipartimento di Medicina Generale (SIMeG) dell’Associazione Italiana Giovani Medici (SIGM)
Stupore misto a disappunto poiché non possiamo non rilevare come, anche da parte di un’autorevole rappresentante del Ministero della Salute, continui a essere riproposta l’errata quanto sedimentata contrapposizione tra i termini “formazione specifica” e “formazione specialistica”; termini che, in realtà, non si escludono vicendevolmente, come peraltro dimostra il fatto che a livello internazionale le scuole di specializzazione in medicina generale rappresentino la norma.
Ci preme ricordare, infatti, come il termine “formazione specifica” sia stato introdotto dalla normativa comunitaria oltre 30 anni fa per indicare la necessità che i camici bianchi chiamati a esercitare la professione di medico di medicina generale possedessero una formazione specifica in tale ambito, non ritenendo più sufficiente la sola formazione di base (fornita dal corso di laurea), in analogia, e non in contrapposizione, a quanto già avveniva per le altre branche della medicina. In gran parte dei Paesi dell’Unione Europea (ma sarebbe più appropriato dire nella quasi totalità dei paesi occidentali) tale formazione è svolta in ambito accademico senza che questo implichi dei distinguo sul fatto che la formazione debba essere di matrice territoriale e orientata alla primary health care e non rinchiusa all’interno del setting ospedaliero.
Facciamo notare, inoltre, come il binomio formazione accademica-formazione specialistica è frutto di un contesto storico-culturale basato sul modello ospedalo-centrico. Questa situazione viene ulteriormente accentuata in negativo nel nostro Paese a causa della lontananza della medicina generale dal mondo accademico, il che ha contribuito alla quasi completa assenza – tranne sporadiche eccezioni – di tale insegnamento durante i sei anni di corso di laurea in medicina e chirurgia.
Una grande mole di letteratura in ambito di formazione dei professionisti sanitari ha già evidenziato, ormai da tempo, l’opportunità e i vantaggi legati all’implementazione di insegnamenti nel pre-laurea e post-laurea da svolgersi all’interno dei servizi del territorio ovvero all’interno di quei “community health centers” che nel nostro SSN abbiamo, con anni di ritardo, identificato nelle cosiddette Unità Complesse di Cure Primare/Case della Salute.
Numerosi documenti e linee guida (cfr. il report “Transforming and scaling up health professionals’ education and training” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e il documento “Global standards for postgraduate Family Medicine education” di Wonca) hanno ribadito come la formazione in Medicina Generale debba essere sotto ogni aspetto (durata, finanziamento, possibilità di formazione post-laurea) equiparata alle altre specializzazioni.
Non è un mistero, inoltre, che la formazione italiana nell’ambito delle cure primarie debba essere migliorata, tanto che secondo alcuni autori (tra cui anche Barbara Starfield) l’Italia sia uno dei Paesi cosiddetti occidentali a possedere una formazione nell’ambito dell’assistenza socio-sanitaria primaria più arretrata di quanto non lo sia quella presente in molti Paesi in via di sviluppo.
Sorprende, pertanto, vedere come nell’epoca dell’Evidence Based Healthcare anche le parole di eminenti rappresentanti del Ministero della Salute vadano in controtendenza rispetto a quanto già evidenziato dalla letteratura internazionale e continuino ad alimentare una stanca dialettica di contrapposizione tra università, ospedale e territorio, quando già da anni le realtà organizzative più avanzate ragionino in termini di integrazione funzionale e strutturale.
L’insensatezza di tali contrapposizioni tra il mondo della medicina specialistica e quella della medicina del territorio è rivelata anche dall’accordo stipulato tra la FIMMG e la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) all’interno del quale le due organizzazioni (una un sindacato e l’altra una società scientifica) stabiliscono una collaborazione finalizzata ad apportare interventi significativi da parte degli specialisti in Igiene e Sanità Pubblica nell’insegnamento all’interno dei corsi con particolare riferimento alle tematiche di organizzazione e management sanitario.
Leggiamo nelle premesse dell’accordo che il sindacato “nel suo ruolo di rappresentanza dei suddetti professionisti assume un ruolo importante nella pianificazione delle attività formative dei Corsi di Formazione di Medicina Generale con particolare riguardo alla programmazione e stesura degli incontri seminariali.”
Leggendo ciò è lecito domandarsi, crediamo a ragione, in quale decreto legislativo o ministeriale sia stato assegnato al sindacato tale ruolo nonché il compito di pianificazione dell’attività formativa e di programmazione della stessa. Nel D.lgs 17 Agosto 1999, n. 368? Nel Decreto Ministeriale del 7 Marzo 2006 “Principi fondamentali per la disciplina unitaria in materia di formazione specifica in medicina generale” il cui art.15 è riportato anche nell’accordo? (ndr. crediamo che l’erronea citazione del Decreto Legislativo n.256 del 2006 presente nel testo dell’accordo volesse riferirsi in realtà a questo Decreto Ministeriale del Ministro della Salute).
Pur mostrando apprezzamento per un’apertura nei confronti del mondo universitario e specialistico che, seppur minima, rappresenta una novità per un mondo in gran parte autoreferenziale quale quello della Medicina Generale, ci appare difficile comprendere questo accordo alla luce della resistenza del sindacato a un eventuale sviluppo della FSMG in formazione accademica e delle motivazioni finora addotte dai detrattori di tale proposta di evoluzione.
Ricordiamo che finora le obiezioni a un’evoluzione accademica della formazione in MG italiana siano state spesso motivate proprio dal paventato rischio che l’insegnamento all’interno dei corsi di formazione universitari dei futuri medici di medicina generale venisse sempre più affidato a medici non di medicina generale. Appare quindi strano come il sindacato ritenga ora così importante implementare tali temi nella formazione dei medici di medicina generale e continui ad avversare la proposta avanzata dalle Regioni di far incontrare il meglio dell’esperienza degli attuali corsi di formazione specifica in medicina generale con l’esperienza della Scuola di specializzazione in medicina di comunità e cure primarie.
Ci chiediamo cosa impedisca ancora oggi di iniziare a sviluppare, anche in Italia, un filone accademico dedicato alla medicina del territorio che possa permettere ai giovani medici al termine della formazione post lauream in medicina generale di proseguire nella ricerca, accedere a specifici programmi di dottorato e contribuire così alla creazione di poli di eccellenza in cui promuovere la cultura della medicina generale e delle cure primarie.
Né capiamo le motivazioni di ordine economico avverse a un’eventuale istituzione di una specializzazione dedicata alla formazione specifica in medicina generale dal momento che tutti, compresa FIMMG, siano d’accordo con la necessità di eliminare le differenze di trattamento economico tra corsisti e specializzandi (a circa 16.700€ ammonta la retribuzione per un corsista mentre si attesta a circa 25.000€ quella di uno specializzando) e, quindi, con la necessità di ricercare una valorizzazione dello status anche attraverso lo stanziamento di fondi ulteriori per la formazione specifica in medicina generale.
Dopo tante obiezioni alla nascita di una scuola di specializzazione dedicata all’insegnamento della Medicina Generale e alle Cure Primarie ci sembra che in realtà questo recente accordo metta in luce come, dopo tutto, non erano in fondo queste obiezioni a sostenere le resistenze di un’evoluzione della formazione specifica italiana. Ci auguriamo che a motivare le resistenze al riconoscimento accademico della medicina generale italiana (caso unico di trattamento nettamente distinto dal resto della formazione medica post laurea, a oltre 30 anni dalla prima Direttiva Europea sull’istituzione della formazione specifica in medicina generale europea) non sia in realtà la volontà del sindacato di mantenere quel “ruolo importante nella pianificazione delle attività̀ formative dei Corsi di Formazione di Medicina Generale” citato dalla stessa FIMMG nell’accordo.
Tra tante domande e qualche auspicio abbiamo una certezza: il Dipartimento di Medicina Generale SIMeG dell’Associazione Italiana Giovani Medici (SIGM) ribadisce il proprio sostegno alla proposta di evoluzione della Medicina Generale avanzata dalle Regioni all’interno del controverso articolo 22 del Patto per la Salute 2014-2016. La nostra associazione, inoltre, mantiene il forte convincimento che il dialogo sul futuro della formazione in questa branca della medicina non possa essere oggetto di trattativa sindacale ma debba essere ispirato dall’analisi delle migliori pratiche nazionali e internazionali e debba essere guidato dai principi dell’Evidence based Healthcare.