I tempi di accesso all’esercizio della professione ed al mondo del lavoro in Italia per un giovane medico sono i più elevati in assoluto nel panorama UE (clicca qui), sia a causa di un ipertrofico iter formativo-professionalizzante pre e post lauream di medicina che non ha pari in Europa (Tabella 1), sia per gli effetti della non adeguata programmazione del fabbisogno di professionalità mediche, che da sempre è prodotto per lo più sulla base del dato storico: ciò è dimostrato dall’alternarsi del fenomeno della Pletora Medica, che ha creato generazioni di medici che si sono dovuti reinventare ed hanno dovuto sgomitare, con quello della “Gobba Demografica”, che registra in atto la maggior concentrazione di medici in attività tra i 50 ed i 59 anni, la cui prospettiva a termine determina fisiologicamente una tendenza a garantire chi esce dal sistema a detrimento da chi appresta ad entrare.
Non si può, inoltre, tacere la non adeguata formazione e professionalizzazione a cui provvede l’attuale articolazione del sistema formativo pre- e post-lauream, a causa di limiti di carattere strutturale ed organizzativo. Mentre per il corso di laurea in medicina si assiste ad un non produttivo atteggiamento di chiusura rispetto all’adozione di tirocini valutativi pratici, che necessitano per definizione di collaborazioni esterne ai Policlinici Universitari, per quanto concerne le scuole di specializzazione l’apertura ed implementazione della rete formativa professionalizzante è prevista per legge, ma viene troppo spesso disattesa. La formazione medica avviene per definizione sul campo ed è necessario che il discente abbia a disposizione una casistica sufficiente, che non può essere limitata ai numeri rappresentati dai Policlinici Universitari, che dovrebbero essere invece il fulcro di un sistema formativo professionalizzante integrato Università-Ospedale-Territorio. Peraltro, tale modello, che ricalcherebbe l’imptsazione dell’integrazione delle cure, sarebbe l’optimum a cui aspirare al fine di preparare i medici del futuro ad affrontare le criticità connesse all’incremento del bisogno di salute espresso dalla popolazione in termini di incremento esponenziale delle cronicità.
Oggi si assiste ad un atteggiamento di contrapposizione becera tra Università, da una parte, e sindacati medici, dall’altra, che si contendono la formazione post lauream del medico più per ragioni di potere e di ritorno connesso alla gestione della formazione, invece che collaborare e mettere a sistema il meglio che possano offrire Università, Ospedali e le articolazioni assistenziali del territorio.
Le criticità più preoccupanti si interessano l’area chirurgica, laddove la crisi di vocazioni, in più occasioni documentata dalle società scientifiche di riferimento, è emblema della condizione in cui operano i giovani medici e non può essere semplicemente spiegata dalla mancata depenalizzazione dell’atto medico, vuoto normativo che tutti noi auspichiamo venga colmato in sede di approvazione del Decreto Balduzzi.
In tal contesto devono, altresì, essere menzionati i provvedimenti orientati a creare un meccanismo ad imbuto per ritardare l’accesso all’esercizio della professione ed a rivisitare il percorso formativo post-lauream del medico più con finalità di ammortizzatore sociale, piuttosto che tendenti ad una reale qualificazione delle professionalità mediche. A questo proposito, infatti, in recepimento delle direttive comunitarie, è stato introdotto il requisito obbligatorio del diploma di specializzazione e del diploma di formazione specifica in Medicina Generale, rispettivamente per l’accesso al ruolo di dirigente medico del SSN e di Medico di Medicina Generale, tralasciando, però, a differenza degli altri Paesi UE, di conferire dignità professionale ai medici in formazione attraverso la prevista adozione dei contratti di formazione-lavoro.