In Primo Piano
GIOVANI MEDICI (S.I.G.M.): luci ed ombre sulla Riforma dello Statuto ENPAM.
MOZIONE ANTI-SPECULAZIONI SUL NUOVO CONCORSO A GRADUATORIA NAZIONALE PER L’ACCESSO ALLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE DI AREA SANITARIA
PATTO DELLA SALUTE: SCONGIURATI GLI STRAVOLGIMENTI DELL’ORGANIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE SPECIALISTICA CHE AVREBBERO ARRECATO DANNI ALLE GIOVANI GENERAZIONI
IMPORTANTE AGGIORNAMENTO: NEL PATTO DELLA SALUTE PREVISTI STRAVOLGIMENTI DELL’ORGANIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE SPECIALISTICA
Care Colleghe e cari Colleghi,
prende forma l’ipotesi di inserimento nel Patto della Salute dell'accesso al SSN dei medici laureati ed abilitati, ma senza il possesso del titolo di specializzazione, su input, sembra, delle Regioni; nello specifico, i medici in possesso del solo titolo di abilitazione, una volta assunti con un ruolo non dirigenziale (in atto tutti i medici del SSN sono dirigenti), potrebbero contestualmente frequentare le scuole di specializzazione in sovrannumero per conseguire il diploma di specializzazione, previa partecipazione al concorso per l’accesso alle scuole di specializzazione, dunque con posti dedicati.
L’Associazione Italiana Giovani Medici (SIGM), nell’apprendere a mezzo stampa di queste iniziative, descritte come “innovative”, desidera condividere pubblicamente alcune considerazioni tanto nel merito, quanto nel metodo, sulla vicenda in questione.
Nel merito, tale proposta viene presentata come soluzione alla previsione di un ragguardevole contingente di laureati che, nei prossimi anni, a fronte di una errata programmazione dei fabbisogni ed in assenza di finanziamenti straordinari, avranno difficoltà a proseguire il loro iter formativo nel post lauream a causa di un effetto imbuto che, nel corrente anno è stato scongiurato a seguito dello stanziamento dei fondi utili a garantire 5000 contratti di formazione specialistica ministeriali, a cui vanno aggiunte le borse destinate alla formazione regionale specifica di medicina generale (circa 900). Tale soluzione, peraltro, verrebbe avanzata anche in ragione della previsione di una fuoriuscita dal SSN di un numero significativo di medici che entreranno in quiescenza.
Considerazioni. La proposta, così come motivata e presentata, potrebbe apparire molto appetibile per i giovani colleghi studenti in medicina degli ultimi anni di corso, nella misura in cui sembrerebbe aprirsi per loro una via di uscita all’effetto imbuto prima descritto. In verità, guardando le cose in ottica di sistema e cercando di prevedere gli effetti a medio termine, i termini della questione non sembrano essere quelli presentati, per le ragioni di seguito rappresentate.
1) Come è noto, la programmazione dei fabbisogni, espletata negli ultimi trienni, presenta delle criticità importanti, nella misura in cui in termini quantitativi non ha tenuto conto della razionalizzazione dell’offerta assistenziale e del fenomeno del task shifting (ovvero dell’acquisizione di competenze prima appannaggio dei medici da parte dei profili non medici, gli infermieri su tutti), mentre in termini qualitativi è stata tarata su modelli assistenziali ospedalo-centrici non più attuali, che richiedevano in passato la dotazione prevalente di profili specialistici ad indirizzo prevalentemente ospedaliero, orientati quindi al trattamento delle acuzie; ai giorni nostri, invece, per rispondere ai bisogni di salute attuali e futuri, prevalentemente sostenuti da un elevato impatto delle multi-cronicità e delle co-morbosità, occorre formare un maggior numero di medici generalisti (non a caso la Francia destina circa il 49% dei contratti di formazione alle scuole di specializzazione di medicina generale, mentre la Spagna ne assegna circa il 30%, a fronte del 15,6% che l’Italia destina in termini di borse di studio rispetto al contingente totale tra contratti di formazione specialistica e borse di studio per la medicina generale), nonché, fatti salvi i contingenti di specialisti ospedalieri indispensabili, occorre investire in quei profili specialistici maggiormente vocati a trattare le cronicità nella rete assistenziale del territorio; non a caso il medesimo Patto della Salute, all’articolo 5, prevede l’istituzione, attivazione ed implementazione nel territorio ad opera delle Regioni di modelli multiprofessionali ed interdisciplinari, denominati Unità di Cure Complesse Primarie (UCCP) ed Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), quali forme organizzative della medicina convenzionata, integrata con personale dipendente del SSN. Ne consegue che, per il futuro, anche per gli specialisti, a fronte della necessaria contrazione dell’offerta assistenziale ospedaliera, che andrà sempre più qualificata, gli spazi occupazionali saranno nel territorio. Si stima, infatti, che negli ospedali, a fronte del pensionamento di 10 dirigenti ospedalieri, anche in ragione del persistere del blocco del turn over, soltanto 2 ruoli potranno essere sostituiti a mezzo di concorsi pubblici (ed i primi a trovare collocazione, giustamente, saranno quelle migliaia di colleghi che da anni vivono la condizione del precariato medico). Giova, infine, ricordare come, nel non lontano 2010, la FNOMCeO, che, come è noto, compartecipa alla definizione dei fabbisogni professionali, unitamente ad un largo fronte sindacale, lanciava un allarme relativo al prossimo spopolamento del SSN a seguito della previsione del pensionamento di una coorte consistente di dirigenti medici, previsione che non si è verificata a causa delle riforme pensionistiche e del blocco del turn over imposto dai Piani di Rientro, ma che non teneva conto dei nuovi bisogni di salute espressi dalla popolazione. Anche sulla base di tale previsione, Regioni e Ministero della Salute hanno aumentato le richieste del fabbisogno complessivo dei medici da formare, il che si è tradotto in un incremento dei posti assegnati alle ex-Facoltà di Medicina, oggi Scuole, da parte del MIUR. Vanno altresì citati, per completezza di informazione, alcuni tentativi esperiti in passato da parte di alcuni sindacati che hanno cercato di ottenere l’innalzamento a 70 anni dei limiti di entrata in quiescenza per anzianità (1, 2), senza curarsi delle conseguenze negative per il ricambio generazionale.
2) La proposta delle Regioni prevede che i medici abilitati non titolari di diploma di specializzazione, assunti con un “livello iniziale” non dirigenziale (ovvero con un inquadramento contrattuale nell’area del comparto, quasi fossero degli infermieri) da parte delle Aziende Sanitarie, dopo un non meglio definito periodo di prova, potranno accedere in soprannumero alle scuole di specializzazione, nei limiti della capacità formativa della scuola, previa partecipazione al concorso di specializzazione. Questi frequenteranno le università esclusivamente per seguire le lezioni frontali, mentre la loro attività clinica nel SSR sarà considerata a tutti gli effetti quale attività professionalizzante. Conseguito il diploma di specializzazione, tali colleghi, che avranno nel frattempo anche maturato un’anzianità di servizio non dirigenziale, potranno partecipare ai concorsi pubblici per la dirigenza medica.
3) Il medesimo Articolo 22 del Patto della Salute prevedrebbe, altresì, l’inserimento dei medici specializzandi dell’ultimo biennio del corso nelle strutture del SSN per partecipare alle attività ordinarie, (che presupporrebbero quindi l’assunzione di una piena responsabilità assistenziale), senza però prevedere riconoscimenti aggiuntivi di alcun tipo (né economici, né in termini di tutele). Sia in questa fattispecie, che in quella prevista in regime di dipendenza non dirigenziale, non vi è cenno alcuno alla possibilità di effettuare una rotazione durante il periodo formativo, esperienza invece realizzabile all’interno della rete formativa, ancorché colpevolmente non sempre attuata dalle scuole di specializzazione. Né risulta prevista la presenza dei tutor.
Ma i veri termini della questione sono i seguenti:
a) Atteso che nel futuro i maggiori spazi occupazionali anche per gli specialisti saranno nel territorio, saranno formati i profili specialisti utili a tal fine o prevarranno altre logiche? In altre parole, come si determineranno i contingenti di specialisti per ciascuna tipologia in ragione dell’iscrizione in sovrannumero? Si continueranno ad usare i vecchi parametri ospedalo-centrici, al fine di mantenere invariati gli attuali assetti dell’assistenza ospedaliera o se ne utilizzeranno di nuovi nel rispetto degli scenari di salute attuali e futuri? Inoltre, se anche la programmazione venisse fatta in maniera adeguata da un punto di vista qualitativo, in quelle Regioni nelle quali l’assistenza del territorio è tutta da costruire, nonostante il significativo aumento dei pensionamenti, gli spazi occupazionali saranno ristretti fino a quando non si avrà una reale implementazione delle strutture del territorio.
b) Dove saranno collocati esattamente i medici senza specializzazione, i cui destini assistenziali verrebbero messi nelle mani dei direttori delle strutture complesse, che ne deciderebbero assegnazione ed utilizzo, tutti nelle strutture ospedaliere di grandi dimensioni o tutti negli ospedali periferici dove nessuno vuole più andare, ma che andrebbero riconvertiti (decisione spesso impopolare, ma che in realtà andrebbe a favore della garanzia della sicurezza dei pazienti) per mantenerli in vita per assecondare i desiderata della politica? Quali saranno le mansioni assegnate e tali medici? E le mansioni saranno rese note prima delle selezioni o, ad esempio, si verrà genericamente assunti in una UTIC per poi trovarsi dirottati in prima linea nei turni di pronto soccorso?
c) Tale imprecisato contingente di medici neaossunti con ruolo non dirigenziale, unitamente al progetto (sempre previsto all’Art. 22 del citato Patto della Salute) di allocare gli specializzandi dell’ultimo biennio di corso nelle strutture del SSN, non configura forse una situazione nella quale ci sarà nelle disponibilità delle Regioni un elevato numero di risorse umane, a basso costo (perché ruoli non dirigenziali) ed a rapido turn over, che potranno essere utilizzati per colmare le esigenze assistenziali, riducendo quindi i concorsi per l’assunzione dei più costosi dirigenti medici, potendo quindi le Regioni risparmiare risorse ai danni delle giovani generazioni? La risposta, purtroppo, è affermativa, se si considera che il Patto della Salute prevede la “soppressione di un numero di posti nelle dotazioni organiche delle aziende ed enti sanitari equivalenti sul piano finanziario”. Quali saranno, dunque, i reali spazi occupazionali per i futuri neospecialisti?
d) Atteso che per accedere ai ruoli di responsabilità della dirigenza medica occorre acquisire dei requisiti specifici (il primo step, corrispondente alla direzione di unità operativa semplice, richiede un’anzianità di servizio di almeno 5 anni nella dirigenza medica con contratto a tempo indeterminato), cosa accadrà a quei colleghi che saranno assunti come “non dirigenti” e non potranno avere accesso alle scuole di specializzazione neanche in sovrannumero? Rimarranno nel limbo del comparto?
e) Si ingenereranno disparità di trattamento, ai fini dei concorsi per l’accesso alla dirigenza medica, per chi parteciperà provenendo dalla frequenza della scuola di specializzazione (che non configura alcun rapporto di dipendenza) e per quanti invece avranno un titolo conseguito in parallelo ad un regime di dipendenza a tempo determinato come ruolo non dirigenziale? In altre parole, come sarà gestita tale dicotomia nella formazione specialistica? Ci saranno specialisti di serie A e di serie B?
f) I giovani medici neoassunti con profilo non dirigenziale, potranno rappresentare un target per sindacati ospedalieri che potranno iscriverli e reclutarli nelle loro fila per riacquisite il peso specifico della rappresentanza sindacale che hanno perduto in questi anni, potendola esercitare per mantenere gli assetti ospedalo-centrici?
Nel metodo, non si ritiene che il Patto della Salute, strumento di politica sanitaria che definisce le linee di indirizzo per l’utilizzo del Fondo Sanitario Nazionale, possa e debba essere la sede deputata per riformare il sistema formativo-professionalizzante di medicina. Il fatto che certe determinazioni vengano assunte in tale sede avvalorano la tesi che tali proposte non abbiano l’obiettivo di elevare gli standard e la qualità formativa della formazione specialistica, ma sembrano piuttosto orientate a rispondere a logiche prevalentemente contabili.